Diario al tempo del coronavirus n. 7

«La prima vocazione dell’uomo è lavorare. L’uomo è un creatore, ma crea con il lavoro»

La Veglia di preghiera per il lavoro, con l’Arcivescovo Mario Delpini (30 aprile ’20), ha evidenziato che l’emergenza pandemica ha reso la crisi più difficile anche nel lavoro, tra i lavoratori, tra chi non ha un lavoro o chi lo sta perdendo, forse anche nel nostro quartiere. «L’epidemia – dice don Walter Magnoni Ufficio Pastorale Sociale del lavoro – apre scenari di incertezza, lavoro ed economia vanno ripensati senza perdere dinamiche di solidarietà». Poveri sempre più poveri. Anche nella crisi siamo entrati disuguali. Bisogna lottare contro un altro virus che, non da oggi, ha globalizzato l’indifferenza e l’egoismo anche nel pianeta del lavoro. E’ necessario ricostruire la condivisione con l’antivirus della solidarietà. In una piazza Duomo deserta il nostro arcivescovo Mario Delpini ha evocato la Veglia di preghiera in tre parole: sguardo, pensiero e resistenza. 

Sguardo

Lo sguardo per costruire Gerusalemme la città della speranza. L’invito è di alzare lo sguardo verso la città promessa, verso la rivelazione e costruzione di una alternativa alla tirannia di Babilonia. Si pensi alle nuove forme di schiavitù sul lavoro (giornalieri, badanti in nero, etc.) presenti anche in Italia. Una città dove si possa vivere non per accumulare profitti, ma per far risplendere la gloria di Dio che, sul lavoro significa la dignità, la creatività del lavoratore creato a immagine e somiglianza di Dio. «Il lavoro umano – dice papa Francesco – è la vocazione dell’uomo ricevuta da Dio al fine della creazione dell’universo. Il lavoro è quello che assomiglia l’uomo a Dio perché con il lavoro l’uomo è creatore, capace di creare tante cose, una famiglia da portare avanti».

Pensiero

Il pensiero è necessario per costruire l’alternativa ai disastri di Babilonia. Necessario per cercare insieme di tenere viva la cultura del lavoro, magari critica ma costruttiva, che sogna e organizza. Un pensiero che renda esplicito e costruttivo il senso del limite, che produca cultura non solo slogan, che ascolti la voce dei semplici, il gemito dei poveri e le notizie censurate delle disgrazie altrui.

Resistenza

La città che Dio vuole è solida perché costruita sulla roccia, per questo resistente alle bufere. L’impresa di aggiustare, cioè lavorare, il mondo babilonico del lavoro chiede solidità e resistenza. E’ necessario costruire il virus dello stare insieme per affrontare le sfide senza lasciarsi abbattere dalle sconfitte. Una autentica conversione alla solidarietà. Senza una comune visione d’insieme non andrà bene per nessuno.

Questa mattina, 1 maggio ’20, con sorpresa il senso di queste tre parole dell’Arcivescovo Mario Delpini le ho ritrovate nell’omelia di papa Francesco a Casa Santa Marta.

«Dio creò! Un creatore. Creò il mondo, creò l’uomo, diede una missione all’uomo: gestire, lavorare, portare avanti il creato. La parola lavoro è quella che usa la Bibbia per descrivere questa attività di Dio. “Portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò il settimo giorno da ogni suo lavoro”. Consegna questa attività all’uomo. Tu devi fare questo, custodire questo. La vocazione dell’uomo è quella di lavorare per creare questo mondo perché vada avanti a tal punto che il lavoro non è che la continuazione del lavoro di Dio. Il lavoro umano è la vocazione dell’uomo ricevuta da Dio al fine della creazione dell’universo. Il lavoro è quello che assomiglia l’uomo a Dio perché con il lavoro l’uomo è creatore, capace di creare tante cose, una famiglia da portare avanti. L’uomo è creatore, ma crea con il lavoro. Questa è la vocazione. La Bibbia dice: “E Dio vide quanto aveva fatto ed era cosa molto buona”. Il lavoro ha dentro di sé una bontà che crea l’armonia delle cose: bellezza, bontà. Un armonia che coinvolge tutto l’uomo nel suo pensiero, nel suo sentire, nel suo agire. L’uomo è coinvolto tutto nel lavorare. La prima vocazione dell’uomo è lavorare. Questo dà dignità all’uomo. La dignità che assomiglia a Dio. La dignità del lavoro.

Un giorno un uomo che non aveva lavoro andava in Caritas per cercare qualcosa per la famiglia. Un volontario Caritas gli disse “ma almeno lei può portare il pane a casa”. “A me non basta, non è sufficiente” è stata la risposta. “Io voglio guadagnare il pane per portarlo a casa”. Gli mancava la dignità di fare lui il pane con il suo lavoro e portarlo a casa. La dignità del lavoro che purtroppo e tanto calpestata. Abbiamo letto le brutalità che facevano con gli schiavi, li portavano dall’Africa in America. Penso a quella storia che tocca la mia terra. Noi diciamo quanta barbarie! Anche oggi ci sono tanti schiavi. Tanti uomini e donne che non sono liberi nel lavorare, sono costretti a lavorare per sopravvivere, niente di più. Sono schiavi. I lavori forzati. Ingiustamente mal pagati e che portano l’uomo a vivere con la dignità calpestata. Sono tanti, tanti nel mondo. Nei giornali alcuni mesi fa abbiamo letto in quel paese dell’Asia dove un signore aveva ucciso a bastonate un suo dipendente – guadagnava meno di mezzo dollaro al giorno – perché aveva fatto male una cosa. La schiavitù di oggi e l’indegnità nostra perché toglie la dignità all’uomo, alla donna, a tutti noi.

“Padre io lavoro, ho la mia dignità”. E’ vero, ma i tuoi fratelli no! “Si padre ma questi problemi sono tanto lontani”. Si fa fatica a capirlo, ma il problema è qui da noi. Penso ai lavoratori giornalieri. Tu li fai lavorare per una retribuzione minima e non otto, dodici, quattordici ore la giorno. Questo succede oggi qui. In tutto il mondo, ma anche qui. Penso alla domestica che non ha retribuzione giusta, che non ha copertura sociale, che non ha copertura pensionistica. Questo non succede in Asia, ma qui. Ogni ingiustizia che si fa su una persona che lavora significa calpestare la dignità umana, anche la dignità di chi fa l’ingiustizia. Si abbassa il livello e si finisce in quella tensione tra dittatore e schiavo. Invece la vocazione che ci dà Dio è tanto bella: creare, ricreare, lavorare! Questo si può fare quando le condizioni sono giuste e si rispetta la dignità della persona. Oggi ci rivolgiamo a tanti uomini e donne, credenti e non credenti, che commemorano la Giornata dei lavoratori, la Giornata del lavoro. Per coloro che imprenditori bravi, portano avanti il lavoro con giustizia, anche se perdono.

Due mesi fa ho sentito al telefono un imprenditore italiano che mi chiedeva di pregare per lui perché non voleva licenziare nessuno. Mi ha detto che “licenziare uno di loro è licenziare me stesso”. Questa coscienza di tanti imprenditori buoni, che custodiscono i lavoratori come se fossero figli. Preghiamo per loro. Chiediamo a san Giuseppe che ci aiuti a lottare per la dignità del lavoro, perché ci sia il lavoro per tutti e sia lavoro dignitoso, non lavoro di schiavo. Questo sia oggi la preghiera»

(Sbobinatura e sistemazione del testo di Silvio Mengotto)

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